L’attuale norma in vigore, la Legge 281/1991, stabilisce, al contrario, che i cani vaganti ritrovati e catturati, vengano trasferiti presso canili comunali o rifugi e non possano essere soppressi eccetto nei casi in cui risultino gravemente malati, incurabili o di comprovata pericolosità. Dopo una permanenza di 60 giorni in canile sanitario (periodo durante il quale il cane può essere reclamato dal proprietario), l’animale viene trasferito al canile rifugio. La normativa vigente individua i Sindaci dei Comuni quali referenti, sia come autorità locali che come responsabili del controllo, della vigilanza sul benessere e della tutela di tutti gli animali presenti sul proprio territorio, siano essi d’affezione, da reddito, da cortile, selvatici o esotici (Accordo Stato Regioni del 24 gennaio 2013 in materia di identificazione e registrazione degli animali da affezione).

 

Il benessere animale è oggetto, inoltre, dell’Accordo del 6 febbraio 2003, siglato in sede di Conferenza Stato-Regioni, tra il Ministero della Salute, le Regioni e le Province autonome, che definisce alcuni principi fondamentali volti a realizzare una maggiore interrelazione tra uomo e animali da compagnia, assicurare in ogni circostanza il loro benessere, evitare che siano utilizzati in modo riprovevole e favorire lo sviluppo di una cultura di rispetto per la loro dignità. Esso prevede, quindi, una serie di misure al fine di ridurre il fenomeno del randagismo:

 

  1. l’introduzione del microchip come unico sistema ufficiale di identificazione dei cani;

 

  1. la  creazione  di una banca  dati informatizzata  su base regionale o  provinciale (art. 4, comma 1);

 

  1. l’attivazione di una banca dati nazionale istituita presso il Ministero della Salute (Anagrafe canina nazionale), alla quale confluiscono i dati delle Anagrafi territoriali, che intende fornire on-line i riferimenti utili per rintracciare il luogo di registrazione degli animali e il loro legittimo proprietario, nel rispetto della tutela della privacy del cittadino.


È possibile individuare quattro presunte fonti di provenienza dei cani che alimentano il fenomeno del randagismo, il cui rapporto reciproco varia in funzione delle caratteristiche territoriali dell’area (più rurale o maggiormente urbana):

 

  1. cani legati alla pastorizia e liberi di vagare sul territorio, anche e soprattutto durante le ore notturne, a causa del mancato ricovero. Si tratta di cani padronali, utilizzati o meno come cani da lavoro e, in parte, sprovvisti di microchip o non sterilizzati, facendo sì che rappresentino un enorme bacino di reclutamento di cani randagi e inselvatichiti (Genovesi & Dupré 2000);

 

  1. cani legati all’attività venatoria, perduti o abbandonati a causa della loro scarsa “efficienza”. Soprattutto nella caccia al cinghiale in braccata, infatti, il rischio che qualche soggetto della muta, spesso privi di microchip, possa allontanarsi senza fare ritorno è

 

abbastanza elevato;

 

  1. cani abbandonati. L’abbandono scaturisce dalla mancanza di un atteggiamento di possesso responsabile da parte dei proprietari, violando quanto dettato dalla normativa vigente; la bassa percentuale di cani iscritti in anagrafe canina aumenta le possibilità di abbandonare un animale senza correre alcun rischio di essere rintracciati. A ciò si aggiunge spesso una pessima gestione delle cucciolate indesiderate, regalate o soppresse; ciò è di nuovo legato a un mancato comportamento di possesso responsabile. Il numero di sterilizzazioni, anche e soprattutto in quegli animali non adibiti alla riproduzione dovrebbe essere incrementato.

 

  1. La riproduzione non controllata dei cani vaganti (padronali, randagi e inselvatichiti), conseguenza di una mancata sterilizzazione degli stessi, alimenta ulteriormente il fenomeno. Allo stesso tempo esistono dei fattori, quali le realtà socio-economiche e le condizioni di degrado ambientale, ma anche la mancata piena applicazione della normativa vigente, che favoriscono il randagismo canino e l’inselvatichimento. Tra questi, annoveriamo: abbondanza di cibo e/o presenza di discariche non adeguatamente gestite; carenze negli strumenti di


controllo (legislazione, servizio di cattura, canili); e mancanza di educazione al possesso responsabile da parte del proprietario del cane.

 

All’aumentare del fenomeno corrispondono tutta una serie di ripercussioni negative di diverso impatto ambientale, economico e sociale, quali:

 

  1. una maggiore incidenza degli attacchi diretti alle persone (Zanforlin, 1974; Biocca et al., 1984) e degli incidenti stradali (Biocca et al., 1984).

 

  1. Una rilevante contaminazione ambientale dovuta alle deiezioni, alla diffusione di ectoparassiti (pulci, zecche, acari), alla dispersione di immondizie (che facilitino la ricerca del cibo da parte di ratti e topi);

 

  1. Indubbi fattori di disturbo (quali rumori, per abbai, ululati, interazioni aggressive, o odori,legati alla marcatura con l’urina, alla contaminazione fecale, ecc. (Zanforlin 1974; Biocca et al. 1984; Mantovani & Matyas 1984; Matter & Daniels, 2000);

 

  1. Zoonosi, ovvero patogeni che possono essere trasmessi dal cane all’uomo, il cui grado di trasmissione varia con la gravità della patologia e il luogo;

 

  1. Danni dovuti alla predazione, o comunque ad aggressioni dirette (Matter & Daniels 2000;Stafford 2007; Slater et al., 2008). Questi comportamenti aggressivi hanno una ricaduta sia sul singolo proprietario (che subisce il danno), che sull’intera collettività (direttamente attraverso i risarcimenti, e indirettamente per le minori produzioni zootecniche e le maggiori ostilità verso i lupi);
  1. Trasmissione di malattie al bestiame domestico;
  2. Pericolo per la fauna selvatica e domestica non solo come possibili predatori (Ciucci & Boitani 1998; Genovesi 2002), ma anche come potenziale fonte di infezioni (anche per i carnivori selvatici) (Beran & Frith 1988).

 

  1. Nel caso poi di una specie tutelata dalla legislazione nazionale ed europea, quale il lupo, i cani inselvatichiti rappresentano un’ulteriore minaccia per quanto riguarda il mantenimento dell’integrità del proprio patrimonio genetico, oltre alla già citata competizione alimentare e territoriale (Genovesi & Dupré 2000; Lovari & Sangiuliano, 2006).

 

E’ importante, infine, rimarcare come l’impatto economico del randagismo canino sia estremamente consistente soprattutto per gli ingenti fondi che vari Enti pubblici elargiscono sotto forma di risorse umane, infrastrutturali e strumentali per il suo controllo, prime fra tutte le Amministrazioni comunali, responsabili della cattura dei cani vaganti e del loro mantenimento in canile.

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